Mitridate, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO QUARTO
 
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 SCENA PRIMA
 
 OSTANE, poi ARISTIA
 
 OSTANE
 Spesso cerchiam ciò che ignorato è male
 e poi saputo è peggio.
 Tanto fec’io che alfin sentor mi giunse
 che qui sia Aristia e di un suo certo amore
1065confusamente ragionar intesi... (Aristia sopravviene e l’osserva in disparte)
 Guardisi ben da me.
 ARISTIA
                                         (Quel che là miro
 parmi... Egli è desso, sì). Padre, che padre   (Va a lui)
 te ognor chiamai, te dirò padre ognora;
 in qual tempo a me vieni?
1070Forse al novello giorno
 non mi trovavi in vita.
 OSTANE
 Aristia oimè!... che narri?...
 A sgridarti io venia. Già son tutt’altro.
 Il vicin tuo periglio
1075vinti ha i giusti miei sdegni.
 ARISTIA
                                                      Oh, mai da Roma,
 mai da Ostane fuggita, oh, non mi fossi!
 OSTANE
 Né di quel tuo Farnace
 mai dato avessi orecchio alle lusinghe.
 ARISTIA
 Un casto amor non rinfacciarmi.
 OSTANE
                                                             Casto?
 ARISTIA
1080Lo san gli dii di Roma, allor presenti
 ai pudichi sponsali.
 OSTANE
 E perché a me tacerlo? A che furtiva?...
 ARISTIA
 Ben del commesso error soffro la pena.
 OSTANE
 Così a figlia succede
1085che si regge a suo senno. Or donde il rischio?
 ARISTIA
 Dal mio stesso imeneo.
 OSTANE
 Che sì, che il tuo Farnace è già pentito?
 ARISTIA
 Anzi troppo fedel. Le nozze ei sprezza
 di vergine real. Quindi nel padre
1090minacce ed ire. Ambo ne siam l’oggetto.
 Per lo sposo io sol temo,
 che di me poco calmi e poco spero.
 OSTANE
 Freno appena le lagrime, i tuoi casi
 sì mi trafiggon l’alma.
1095Chi sa che il ciel qui tratto
 non m’abbia in tua salute.
 Tempo a perder non v’è.
 ARISTIA
                                               Dove, o buon padre?
 OSTANE
 Ove de’ tuoi sinor natali occulti
 squarciar si possa il velo; e se qual credo,
1100nobil sangue sortisti, il re lo sappia
 e propizio si renda e i casti affetti
 di Farnace e di Aristia ami e rispetti.
 
    Non dovrei... Fuggirmi, ingrata?
 Non dovrei... Lasciarmi in pianto?
1105Non dovrei più amarti tanto
 né di te più aver pietà.
 
    Ma son facile al perdono,
 quando intendo un sol sospiro
 o due lagrime rimiro
1110di un’amabile beltà.
 
 SCENA II
 
 ARISTIA e APAMEA
 
 ARISTIA
 Sola e mesta Apamea? Deh, che mi rechi
 del prence? Ove il lasciasti?
 APAMEA
 Meco il compiangi, fra custodi e ceppi.
 ARISTIA
 O dio!
 APAMEA
               Seguirti a forza
1115ei volle in Eraclea.
 ARISTIA
                                    Misero!
 APAMEA
                                                     Appena
 posto il piè nella reggia, io gli era al fianco,
 c’incontrammo nel re.
 ARISTIA
                                           Barbaro!
 APAMEA
                                                              Un guardo
 placido a lui girò, misto di un dolce
 sorriso.
 ARISTIA
                 Ingannator!
 APAMEA
                                         Parea tutt’altro
1120da sé medesmo e gli apria già le braccia
 per accoglierlo.
 ARISTIA
                               Iniquo!
 APAMEA
 Quando Gordio a lui venne e di sommesso
 gli susurrò all’orecchio
 un non so che. Gli si agrottar le ciglia
1125tutto ad un tratto; e volto a quei che intorno
 stavangli sbigottiti
 più di Farnace istesso,
 ne comandò l’arresto.
 ARISTIA
 E il prence?
 APAMEA
                         La minore
1130resistenza non fece e pose l’armi,
 senz’altro dir, se non con un sospiro:
 «O Aristia, Aristia!»
 ARISTIA
                                        E volle dir ch’io sola
 a tal destino sconsigliata il trassi.
 Io son che l’ho perduto, io che l’ho ucciso.
1135Son morta.
 APAMEA
                        Per Farnace
 non disperiamo. Correrò alla madre.
 Pregherò. Piangerò. Per la mia stessa
 vita farò che tremi.
 Ella nel cor del re può molto, io tutto
1140su quel di lei.
 ARISTIA
                            Mi torni
 lo spirto in sen. Va’. Salva
 Farnace e a te lo salva. A me non deve
 sovrastar, se non morte.
 APAMEA
 Non pensar che più forte
1145per lusinga in me possa esser la fede.
 Viva Farnace. Altro Apamea non chiede.
 
    Viva il caro idolo mio;
 non conosco e non desio
 altro ben, se non ch’ ei viva.
 
1150   Viva, sì, l’idolo amato,
 benché voglia amore e fato
 ch’io l’adori e ne sia priva.
 
 SCENA III
 
 MITRIDATE e ARISTIA
 
 MITRIDATE
 Femmina, a me rispondi e che non t’esca
 dal labbro, avverti, né dal cor menzogna.
 ARISTIA
1155Mentir non può chi nulla teme.
 MITRIDATE
                                                           In quale
 terra nascesti?
 ARISTIA
                              Il mondo
 mi è patria. Altro non so.
 MITRIDATE
                                                Qual furo e donde
 i genitori tuoi?
 ARISTIA
                               Gli dii lo sanno.
 MITRIDATE
 Della loro bassezza
1160il tuo silenzio è testimon.
 ARISTIA
                                                Bassezza
 non fu mai nel mio core; e l’opre mie
 mai non mi rinfacciar viltà di sangue.
 MITRIDATE
 Opra invero gentile il darti in preda
 furtivamente al tuo amator!
 ARISTIA
                                                     Se sposo
1165mio lo dirai, pregio è l’accusa e lode.
 MITRIDATE
 Farnace sposo tuo?
 ARISTIA
                                      Sì, dai più sacri
 vincoli di onestade a me congiunto.
 MITRIDATE
 Che degna nuora a Mitridate! E come
 ti prese per Farnace il folle amore?
 ARISTIA
1170Conobbi la sua fede;
 vidi la sua virtù; mi amò; l’amai.
 MITRIDATE
 Quando ciò fu?
 ARISTIA
                               Quand’egli ostaggio in Roma
 era per Mitridate.
 MITRIDATE
 In Roma?.. Ah, Gordio il ver mi disse... In Roma?
1175Farnace a me. (Alle guardie) Segrete
 co’ miei nimici intelligenze ei passa.
 Romana sei.
 ARISTIA
                          Se il fossi,
 ne arrossirei? Schiava da’ miei primi anni...
 MITRIDATE
 Sogni. Bugie. Farnace.
 
 SCENA IV
 
 FARNACE incatenato le mani e i suddetti
 
 MITRIDATE
1180Son palesi le trame.
 Non è amor, non Aristia
 che ti ritrae dall’ubbidirmi. È Roma.
 Roma, sì, ti ha sedotto. A lei tu servi
 contro di Mitridate. Io n’ho altri indizi;
1185e costei, cui le vene
 empie sangue romano, è il pegno, è il prezzo,
 per cui tradisci la tua gloria e il padre.
 FARNACE
 Qual ombra? Qual inganno?...
 MITRIDATE
 Taci. Già sai qual pena
1190minaccian le mie leggi. Ottantamila
 romane anime a Pluto in un sol giorno
 diede un sol mio comando. Io faccio a Roma
 la guerra, ovunque è Roma.
 La trovo in voi; né esenti
1195andran dal comun fato
 femmina così rea, figlio sì ingrato.
 
    Principierò dal vostro
 sangue a far guerra a Roma,
 anime scellerate.
 
1200   Tu donna vil, tu mostro
 di fellonia, tu nuora?
 Tu erede a Mitridate?
 Miseri, v’ingannate.
 
 SCENA V
 
 FARNACE e ARISTIA
 
 ARISTIA
 Vedi se può fortuna
1205far peggio in nostro danno.
 FARNACE
 In questo non saremmo aspro destino,
 se tu...
 ARISTIA
                Risparmia affanni
 a chi è presso a morir.
 FARNACE
                                           Tanti fec’io
 sforzi in comun salvezza; e saran questi
1210cagion della tua morte e della mia?
 ARISTIA
 No, Farnace. In me sola
 finiranno tant’ire.
 Gl’interessi del regno,
 i riguardi del sangue,
1215gli affetti di Apamea, Ladice, tutti
 parleranno per te. Vivrai. Tu il devi
 a tanti voti; al mio pur anche il devi.
 Né temer che io nud’ombra
 ti venga a rinfacciar mesta e sdegnosa
1220altro amore, altra fede ed altra sposa.
 FARNACE
 Oh, se volesse mai rabbia di sorte
 dividerne per morte,
 non ad altro vivrei che a vendicarti.
 Correr farei di sangue
1225i domestici lari;
 confonderei più stragi in una; e d’ossa
 tronche ed informi un rogo sol farei;
 e a gittar poscia nell’orribil fiamma,
 chiamando Aristia, anche me stesso andrei.
 
1230   Sì. Vorrei, mio solo amore,
 vendicarti e poi morir.
 
 ARISTIA
 
    No. Mi fai già di dolore
 sol col dirlo, o dio! languir.
 
 SCENA VI
 
 APAMEA, poi GORDIO e i suddetti
 
 APAMEA
 Quando in più grato uffizio, (Correndo verso Farnace)
1235man, ti adoprasti?
 ARISTIA, FARNACE A DUE
                                     Principessa...
 APAMEA
                                                                A terra,
 giù da coteste braccia, (Levandogli e gittando poi la catena)
 piene d’alto valor, ceppi sì indegni.
 ARISTIA, FARNACE A DUE
 Apamea...
 APAMEA
                      Fate core. E preghi e pianti
 han vinta la regina.
 ARISTIA
1240Creder lo deggio? (Gordio si avanza, tenendo in mano la spada di Farnace)
 FARNACE
                                    E il genitor feroce?...
 GORDIO
 Guardie, partite. Anch’egli
 si è reso ai voti di Ladice e diemmi
 l’onor... (Vuol presentare a Farnace la spada e Apamea gliela leva di mano)
 APAMEA
                  No. A me l’onore
 di ripor questo ferro al nobil fianco. (La mette al fianco di Farnace)
 FARNACE
1245Che fido amor!
 APAMEA
                               Ma sfortunato ancora.
 GORDIO
 (Come mai? Non intendo).
 APAMEA
                                                    E Aristia tace?
 ARISTIA
 Godo nel mio Farnace;
 ma non è, il so, sì facile a placarsi
 né il destin né Ladice
1250per Aristia infelice.
 
 SCENA VII
 
 LADICE e i suddetti
 
 LADICE
 Se infelice sinora
 fosti, lagnati, Aristia,
 di te, non di Ladice.
 Risparmiar tu potevi
1255a me sdegni, a te rischi
 e dirò ancora, ad Apamea sospiri.
 Farnace era tuo sposo. Ei la tua fede
 aveva e tu la sua. Perché non dirlo?
 Né Tigrane avria chieste
1260nozze per Apamea; né Mitridate,
 in patto di amistà, le avria giurate.
 FARNACE
 S’ella tacque, o regina,
 se ne incolpi Farnace.
 ARISTIA
 E se un maggior delitto
1265non pareami il silenzio, ancor nel seno
 chiuso starebbe al mio dover l’arcano.
 APAMEA
 (Affetti miei, voi sospiraste invano).
 LADICE
 Principe, a te or mi volgo; e del paterno
 perdono in pegno e dell’assenso ancora,
1270ch’ei presta a’ tuoi sponsali,
 ecco il pronubo anello (Gli dà l’anello di Mitridate)
 che dal dito real, ben tu il ravvisi,
 si trasse ei stesso, onde tu il serbi e al lieto
 festeggiar di tue nozze
1275alla dolce tua sposa il porga e il doni.
 ARISTIA
 (Sì subite vicende!)
 FARNACE
 Donna real, quai posso?...
 LADICE
 Nulla a me, tutto al padre. Egli ti attende
 ai più teneri amplessi.
 FARNACE
                                            A lui mi affretto;
1280e tu grata qui adempi il mio difetto. (Si parte)
 GORDIO
 (Mi rode ira e dispetto).
 
 SCENA VIIl
 
 LADICE, ARISTIA e APAMEA
 
 LADICE
 Contro necessità non val contrasto.
 Apamea, col tuo esempio
 mi acheto. Ad altro sposo
1285penseremo per te; né questo giorno
 illustreran, qual già sperai, le tede
 tue coniugali. Alla felice Aristia
 serbata era tal sorte.
 ARISTIA
 Eh, che ad Aristia ira è serbata e morte.
 LADICE
1290Che? Temi ancor? Mi fai tal torto?...
 ARISTIA
                                                                    Il frutto
 questo è de’ mali miei, che meglio appresi
 di apparenti lusinghe a non fidarmi.
 So la guerra con Roma,
 le speranze dell’Asia,
1295i voti di Tigrane,
 i patti, i giuramenti, i rei sospetti.
 Taccio Apamea, taccio la madre; impegni
 di amor, di regno, di natura, d’odio,
 tutti son contra me. Né vuoi ch’io tema?
1300Regina, una sì credula speranza
 delle miserie mie saria l’estrema.
 
    Sai quando in mar più teme
 il provvido nocchier?
 Quando più gonfia e freme,
1305senza alcun vento il mar.
 
    Sibilo allor non viene
 d’austro feroce e rio
 le vele a lacerar;
 ma un rauco mormorio
1310move le basse arene
 i flutti a intorbidar.
 
 SCENA IX
 
 LADICE, APAMEA e GORDIO
 
 APAMEA
 Possibile, o regina,
 che a te soffrisse il cor?
 LADICE
                                             Figlia non vidi
 più di te attenta a rendersi infelice.
 APAMEA
1315Il so; ma così vuole il mio destino. (Si parte)
 LADICE
 Povera figlia! Gordio,
 non hai voce, non moto.
 Sembri fuor di te stesso.
 GORDIO
 Com’ esserlo non posso,
1320sconsolato e deluso
 in amore e in vendetta?
 LADICE
 Conviene anche a chi regna
 servire al tempo e accomodarsi ai casi.
 Molte, erte, oblique del regnar le vie
1325sono; e di penetrarle è dato a pochi.
 Volerne giudicar dall’apparenze
 tira spesso ad inganno.
 Né creder già che per goder la sorte
 del mio regio favor, giunger tu debba
1330primo a saper ciò che rivolgo in mente.
 I grandi arcani appunto
 si tacciono ai più cari
 che i più facili sono a palesarli,
 non perché loro manchi
1335il zelo di tacer; ma l’arte manca,
 lasciandosi tradir, senza avvedersi,
 or da un mezzo sorriso, or da una tronca
 parola, or anche dal silenzio istesso.
 Metti l’alma in riposo; ed or che gli altri
1340gravi affari compisti,
 sovvengati di Ostane e a me lo guida.
 GORDIO
 Traccia ne tengo assai sicura e fida.
 LADICE
 
    Affetti ancor dolenti
 di madre e di regina,
1345sarete alfin contenti?
 Nol so; ma cauta adopro arte ed ingegno.
 
    Calmatevi; e vedrete
 per vie lontane e chete
 condurvi a lieto fine amore e sdegno.
 
 SCENA X
 
 GORDIO
 
 GORDIO
1350Gran cose agita e volve
 l’alma real. Dove a finire andranno,
 Gordio, si attenda. Oh, quante volte, oh, quante
 si vendica il privato
 con la man del regnante!
 
1355   Scocca dall’alto il fulmine;
 ma in terra si formò.
 
    Furie sul trono avvampano;
 ma un basso cor pien d’astio
 le accese e le attizzò.
 
 Il fine dell’atto quarto